
Linguaggio segreto delle “Movements” di Gurdjieff
Quando si parla di Georges Ivanovič Gurdjieff, il pensiero corre subito al suo enigmatico passato tra monasteri centro-asiatici e salotti parigini.
Eppure, il cuore pulsante del suo insegnamento non è la biografia dell’uomo, bensì un corpus di oltre duecento danze sacre – le Movements – concepite come un alfabeto di posture, ritmo e presenza destinato a risvegliare livelli di coscienza più sottili.
In queste righe esploreremo il significato, la struttura e l’attualità di tale “grammatica in movimento”, lasciando in secondo piano la storia personale del Maestro.
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1. Architettura simbolica
Ogni sequência coreografica dei Movements è progettata secondo leggi matematiche rigorose: numero di passi, angoli, direzioni e pause corrispondono a principi cosmici come la Legge del Tre e la Legge del Sette. Gurdjieff descriveva le danze come «libri viventi», in cui ogni gesto equivale a una parola e ogni sezione a una frase capace di “scrivere” nell’esperienza corporea concetti altrimenti astratti. Il danzatore, muovendosi al ritmo imposto, “legge” e “scrive” simultaneamente contenuti sottili: un’auto-scrittura che incide, più che sulla memoria concettuale, sulla fibra percettiva dell’essere.
2. Musica: partitura per l’attenzione
Le Movements non esistono senza le musiche composte ad hoc da Gurdjieff in collaborazione con il pianista russo Thomas de Hartmann. Scale inusuali, tempi irregolari e improvvisi cambi di accento costringono il praticante a rimanere nel presente, impedendo alla mente di rifugiarsi in automatismi ritmici. L’effetto è duplice: la complessità sonora funge da “metronomo dell’attenzione” e, al contempo, da detonatore di risonanze emotive raffinate che facilitano l’emergere di uno “stato unificato” dei tre centri – corpo, emozioni, intelletto.
3. Pedagogia della dis-abitudine
A differenza di molti metodi di danza terapeutica contemporanei, le Movements non mirano a un’espressione soggettiva, bensì a una disciplina impersonale. L’esecuzione richiede centimetri di precisione e sincronizzazione di gruppo: ogni errore rivela dove l’attenzione vacilla. Da qui la definizione di «specchio implacabile» adottata da vari allievi di prima generazione. In questo teatro di presenza, il corpo diventa strumento di diagnosi: la rigidità svela resistenze interiori, lo squilibrio segnala dispersione mentale, l’eccesso di grazia indica compiacimento emotivo.
4. Effetti psicologici e neuroscientifici
Studi recenti su praticanti di meditazione gurdjieffiana mostrano un miglioramento della memoria di lavoro e dell’attenzione selettiva, pur senza effetti marcati sull’episodica. In un campione di meditatori con almeno cinque anni di pratica quotidiana di Movements, i ricercatori hanno riscontrato prestazioni significativamente superiori nei compiti di working memory rispetto a non meditatori. Sebbene gli autori invitino alla prudenza, i dati suggeriscono che la complessità coordinativa e l’alternanza rapida fra tensione e rilascio insegnino al cervello a gestire meglio le risorse attentive.
5. Un crocevia di correnti esoteriche
Le Movements non sorsero in un vuoto culturale: nei primi decenni del XX secolo fiorirono discipline corporee “esoteriche” – dalla Euritmia di Rudolf Steiner alla Paneurhythmy di Peter Deunov. La ricerca accademica contemporanea inquadra così i Movements come parte di un “melting pot” di arti sacrali che univano ritualità, pedagogia e sperimentazione artistica. Ciò non riduce l’originalità di Gurdjieff; al contrario, evidenzia come egli sintetizzasse fonti disparate in un dispositivo pedagogico coerente, ponendo al centro il principio di lavoro su di sé attraverso il corpo.
6. Persistenza e trasmissione
Malgrado Gurdjieff proibisse di annotare le coreografie, si stima che siano pervenuti circa 30 movimenti “antichi” e oltre 220 del periodo successivo al 1937, custoditi da fondazioni internazionali che ne garantiscono la fedeltà. La trasmissione avviene ancora oggi in piccoli gruppi che insistono sulla precisione filologica e sull’accompagnamento musicale dal vivo: un gesto contro-corrente nell’epoca della didattica online.
7. Il panorama italiano contemporaneo
Negli ultimi anni l’Italia è divenuta un polo vivace per i praticanti. Dal ritiro estivo “Coming Together” che si svolgerà dal 3 al 24 agosto 2025 in Toscana, aperto anche ai neofiti, ai cicli di seminari mensili organizzati dall’Associazione Presenza MoviMenti a Santarcangelo di Romagna, la proposta formativa unisce sessioni di Movements, lavoro manuale comunitario e discussioni sulle idee della Quarta Via. L’obiettivo dichiarato: “abbandonare vecchie memorie per avvicinare nuove consapevolezze”, riassumendo la finalità trasformativa delle danze.
8. Danzare la cosmologia
Visionate dal pubblico per la prima volta a Tbilisi nel 1919, le Movements continuano a fungere da “ponte” fra corporeità e metafisica: una ginnastica per l’anima in cui forma e contenuto coincidono. Chi le pratica testimonia una duplice scoperta: da un lato l’esperienza concreta di un corpo che può diventare strumento di pensiero; dall’altro la percezione che ogni linea tracciata nello spazio ricalchi leggi che governano tanto il microcosmo umano quanto il macrocosmo stellare.
Studiare le Movements equivale a entrare in una “biblioteca cinetica” in cui la conoscenza non si legge, ma si attraversa con tendini, respiro e sguardo. In un’epoca dominata dall’informazione istantanea, l’eredità di Gurdjieff ci ricorda che esistono saperi che passano solo attraverso un gesto ben calibrato, che la mente da sola non può cogliere. Ancorate al ritmo, ma volte al silenzio interiore, le sue danze sacre rimangono un laboratorio vivo di auto-conoscenza: una pratica che, a più di un secolo dalla sua nascita, continua a invitare a “ricordarci di noi stessi” in ogni passo compiuto.